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« Torna agli articoli di Giuliano Guzzo
Povero Roberto Saviano, non capita a tutti d’esser smentiti – nella trasmissione che si sta conducendo, in diretta televisiva - da un morto. E’ un’umiliazione bruciante, di quelle che ridicolizzerebbero e metterebbero ko chiunque. Per cui anche se ieri l'autore di "Gomorra", ormai a suo agio sotto i riflettori, ha fatto abilmente finta di nulla, è bene ricordare a chi ha visto “Vieni via con me” – e pure a chi s’è perso tanta meraviglia – l’accaduto. Deciso a spiegare il fondamento del presunto diritto a morire ai suoi colti telespettatori, Saviano, nella seconda parte della trasmissione andata in onda ieri sera, s’è improvvisato bioeticista affrontando tutto d’un fiato l’argomento più spinoso in assoluto: il cosiddetto “fine vita”.
L’argomentare della star partenopea, in sintesi, è stato questo: nessuno osa rifiutare un bene prezioso come la vita, ci mancherebbe; tutti vogliono vivere, tutti inneggiano al diritto alla vita. E’ per il diritto alla vita Beppino Englaro, ha detto Saviano, esattamente come ieri lo erano Piergiorgio Welby e Luca Coscioni. E’ poi seguita una ricostruzione commovente della vicenda Welby, nella quale il nemico della camorra ha spiegato come costui, poveraccio, non volesse altro che il rifiuto dell’accanimento terapeutico. L’ha ripetuto decine di volte: il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Era questo, ha insistito con la sua aria messianica Saviano, il solo, vero obbiettivo politico di Welby.
Terminato il monologo strappalacrime, la parola è passata a Fabio Fazio che, probabilmente senza volerlo, ha teso al suo collega il peggior sgambetto possibile: far leggere alla vedova Welby l’elenco delle ultime parole del marito prima di morire, o di essere sottratto all’accanimento terapeutico, come direbbe Saviano. Mina Welby, in tutta serenità, ha iniziato la lettura di queste parole. Ebbene, dopo pochi vocaboli, la signora ha pronunciato quattro parole che hanno letteralmente polverizzato la tesi dello scrittore di Gomorra:”la lotta per l’eutanasia”. A questo, anche prima di morire, pensava Piergiorgio Welby: alla “lotta per l’eutanasia”. E lo diceva, vincolato come purtroppo era a potersi esprimere solo con gli occhi, senza giri di parole, con chiarezza.
Una domanda a questo punto sorge spontanea: perché Roberto Saviano s’è avventurato in un monologo di bioetica cercando di convincere i telespettatori che la lotta di Welby fosse contro l’accanimento terapeutico – pratica che tutti, ma proprio tutti, laici, laicisti e clericali, rifiutano – mentre quest’ultimo, in realtà, ha approfittato degli ultimi istanti della sua vita per rivendicare l’importanza della “lotta per l’eutanasia”? Perché confondere così palesemente i termini del discorso? Forse perché incitare milioni di telespettatori a battersi contro l’accanimento terapeutico, anziché per l’eutanasia, suona più soft? In attesa di chiarimenti che verosimilmente mai arriveranno, è bene porsele, certe domande. Perché quando uno ti dice “vieni via con me”, prima, deve dirti cosa vuole davvero.
DOSSIER "ROBERTO SAVIANO"
L'intoccabile messia della sinistra
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